Ccsvi e Sclerosi Multipla, due anni dopo Comi: «Manca l’evidenza epidemiologica»

Pubblicato il 18 Novembre 2014 in News

Partirà tra pochi giorni Brave Dreams, lo studio multicentrico per valutare l’efficacia e la sicurezza del “metodo Zamboni”, la cosiddetta “liberazione” delle vene tramite angioplastica: 685 persone arruolate, di età compresa tra i 18 e i 65 anni, con sclerosi multipla nelle forme recidivante remittente e secondariamente progressiva. Sono, infatti, trascorsi più di due anni da quando il professore Zamboni ha proposto alla comunità scientifica l’ipotesi di correlazione tra Sm e Ccsvi che ha suscitato le speranze di molti malati – sono circa 63mila in Italia -, attirando l’attenzione, anche critica, da parte del mondo della ricerca. Al tema Salute24 sta dedicando un approfondimento periodico, per mettere a confronto in modo aperto le opinioni dei ricercatori, come si conviene ad un dibattito pubblico, al quale è stato invitato a partecipare anche il professore Paolo Zamboni, che ha legittimamente declinato la proposta in attesa del termine della sperimentazione da lui coordinata. In questa puntata intervistiamo Giancarlo Comi, direttore del Dipartimento Neurologico e Direttore dell’Inspe, l’Istituto di Neurologia Sperimentale, presso il San Raffaele di Milano e professore di Neurologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.

Professor Comi, al momento, dal suo punto di vista, quali sono le evidenze scientifiche a favore della terapia Zamboni per il trattamento della SM?
Il mio punto di vista, condiviso dalla la comunità scientifica nazionale ed europea, è riassunto da due position paper (vedere allegati a questa intervista). In poche parole manca innanzitutto una evidenza epidemiologica in quanto dopo lo studio iniziale di Zamboni riportava al 100% di positività questa condizione di pazienti con la SM e uno 0% di positività dei controlli di studi successivi (vedere la tabella). Hanno fornito frequenze variabili negli ammalati dallo 0 al 60 % e controlli dallo 0 al 30%. Non vi sono poi evidenze che un’occlusione delle vene giugulari e della vena azygos si associno alla Sclerosi Multipla. Nel paper accluso ci sono una serie di ragioni per cui non vi sono più dubbi che la Ccsvi, ammesso che esista come condizione di anormalità, sia la causa della malattia. Rimane invece del tutto aperto il problema dell’ eventuale ruolo che la cosidetta Ccsvi potrebbe avere come fattore associato alla presenza di varie patologie neurologiche, non nel senso di un rapporto causale, ma come alterazione sottesa da meccanismi patogenetici comuni a patologie di vario tipo. Ovviamente appare altrettanto possibile che ciò che viene definitiva Ccsvi non sia altro che una variante della normalità delle vene del collo.

Eppure, molti pazienti sottoposti all’angioplastica riferiscono un sollievo immediato dei sintomi della Sm: questo come si spiega?

I miglioramenti dei disturbi neurologici dopo angioplastica riferiti da alcuni pazienti e riportati dallo stesso professor Zamboni in alcuni lavori sono privi di ogni supporto logico ancora prima che scientifico. Le disfunzioni neurologiche provocate dalla sclerosi multipla o sono irreversibili in quanto conseguenti a degenerazioni degli assoni, oppure sono reversibili nel corso di giorni o settimane, come si osserva nel recupero che fa seguito agli attacchi di malattia. Queste alterazioni reversibili hanno come base il fenomeno del blocco di conduzione, determinato o da una demielinizzazione segmentaria o da effetti indotti dai prodotti dell’infiammazione sulla conduzione nervosa. La ripresa conseguente alla ri-meilizzazione richiede settimane, mentre quella da rimozione del prodotto dell’infiammazione può avvenire anche nell’ambito dei giorni, ma l’ipotesi accusata da Zamboni e collaboratori sui processi che la condizione Ccsvi determinerebbe a livello del tessuto nervoso, non può comportare un effetto immediato sulla attività infiammatoria in quanto il presunto miglioramento del flusso venoso a livello del tessuto nervoso non può avere effetti su un processo infiammatorio già in atto, ma solo proteggere da ulteriori episodi. In entrambi i casi quindi un miglioramento che compare immediatamente alla fine della procedura è prima di tutto biologicamente inverosimile. Infine entrambi gli studi terapeutici pubblicati da Zamboni, essendo in aperto e non controllati, non sono ovviamente in grado di dimostrare alcunché. Gli studi presentano anche una serie di problematiche metodologiche per cui i risultati devono essere considerati con molte riserve. Uno studio recente e i dati accumulati da un gruppo di ricercatori italiani sui pazienti sottoposti a procedure di angioplastica o applicazione di stent delle vene giugulari non hanno dimostrato alcune efficacia delle procedure. Anche questi dati che sono in aperta contraddizione con gli studi del prof. Zamboni vanno però interpretati con cautela mancando di un gruppo di controllo.

Il clamore suscitato dalla notizia ha fatto, tuttavia, il giro del mondo. Molti centri stanno cercando dati di conferma o smentita dell’ipotesi. Qual è la situazione attuale?

In realtà il clamore, come risulta da una recente valutazione fatta tra esperti europei di sclerosi multipla si è venuto a creare sostanzialmente solo in Canada ed in Italia. Qui in Italia persiste un’ampia discussione sul web, non solo perchè l’ipotesi patogenetica è stata formulata da un ricercatore italiano, ma anche per la nascita un pò sorprendente di un’associazione “Associazione Ccsvi nella Sclerosi Multipla onlus” che si prefigge di diffondere queste teorie patogenetiche e di promuove la raccolta fondi per la sperimentazione clinica. La Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (Fism) ha promosso lo scorso anno un grande studio epidemiologico multicentrico nazionale per valutare in modo definitivo se esista o meno una correlazione tra Ccsvi e la Sclerosi Multipla. Questo studio prevede l’inclusione di 2000 soggetti tra pazienti affetti da Sclerosi Multipla, pazienti da patologie neurodegenerative, e soggetti sani al controllo. Lo studio è in fase avanzata di sviluppo e la conclusione è prevista per il mese di maggio di quest’ anno. Questo studio consentirà in modo definitivo di sapere se esistano relazioni tra sclerosi multipla e Ccsvi e se le eventuali relazioni siano tali da poter aprire la possibilità di nuovi approcci terapeutici.

Parallelamente non si ferma la ricerca farmacologica. Con quali prospettive?
Le maggiori novità sono costitute dalle terapie farmacologiche in fase 2 e in fase 3. Hanno completato la fase 3 alcuni farmaci come il Laquinimod, il Fumarato e la Teriflunomide che sono attualmente al vaglio dalle autorità sanitarie europee e nordamericane per l’autorizzazione alla commercializzazione. Per questi 3 farmaci esistono evidenze incontrovertibili (verificate in sperimentazioni cliniche che hanno coinvolto migliaia di pazienti in tutto il mondo) di una efficacia nel ridurre nella forma ricadute-remissiva della malattia la frequenza degli attacchi, le lesioni attive rilevabili tramite RM dell’encefalo e la progressione della disabilità. Proprio all’inizio del presente anno è stato introdotto anche nel nostro paese il Fingolimod (Gylenia), il primo farmaco orale per il trattamento della Sm. Il farmaco esplica una potente azione nel ridurre l’attività di malattia, nel diminuire il rischio progressione della disabilità e nell’ attenuare l’atrofia cerebrale che la malattia comporta. Infine, sono in fase avanzata di studio anche alcuni anticorpi monoclonali come l’Alemtuzumab e lo Ocrelizmab su cui l’utilizzazione dovrebbe riguardare i casi più aggressivi di malattia.

A questo proposito si parla molto anche di “terapia orale”: cos’è?
La terapia orale va considerata nel contesto del rapporto-beneficio proprio dei vari farmaci ora disponibili per la cura della Sclerosi Multipla. È raccomandabile, come per altro previsto dalle autorità sanitarie europee, che il Fingolimod (Gilenya) venga utilizzato nei pazienti che non rispondano ai trattamenti di prima linea o che presentino forme aggressive di malattia per i quali si renda necessario un intervento più rilevante sul sistema immunitario. Per il paziente ovviamente la somministrazione per via orale costituisce un fattore di miglioramento della qualità di vita.