La radiologia e i raggi x
La radiologia utilizza l’interazione del corpo umano con fasci di onde elettromagnetiche, dette raggi x, la cui lunghezza d’onda è assai più corta di quella delle onde radio e della luce e appartiene alla banda compresa fra 0,001 e 1 nm. Di conseguenza, vista la proporzionalità inversa tra lunghezza d’onda e frequenza, possiamo anche definire i raggi x come onde elettromagnetiche ad alta frequenza.
I raggi x vengono prodotti grazie ad appositi tubi radiologici che sono delle ampolle di vetro sotto vuoto spinto nelle quali si applica una elevata differenza di potenziale elettrico (decine di migliaia di volt). Questa ha l’effetto di accelerare fortemente un fascio di elettroni emessi da una spiralina incandescente: gli elettroni vanno così a colpire ad alta energia un bersaglio formato da un metallo pesante, in genere tungsteno, il quale, per un fenomeno fisico assai complesso, emette radiazioni che appartengono appunto alla banda dei raggi x.
La produzione dei raggi x negli apparecchi radiologici è quindi un fenomeno strettamente governato dall’uomo, nei suoi parametri fisici, nella sua intensità e nella sua durata: i raggi x si formano nel tubo ed escono solo nel momento in cui, schiacciando un pulsante, si determina la formazione dell’alta tensione e il flusso di elettroni. Il tubo e l’apparecchio radiologico spenti o inattivi non sono radioattivi e non emettono raggi.
L’ energia rilasciata dai raggi x all’ interno del corpo viene espressa dalla dose: questa si misura in Gray (1 Gy = 1 J/kg). Le dosi impartite dalla maggior parte degli esami radiologici di uso comune (ossa, torace, mammografia, apparato digerente, etc.) sono comprese fra 1 e 10 mGy. Esami di grande impegno come la TC di distretti estesi (torace, addome) o l’ arteriografia impartiscono dosi alcune volte maggiori. Giova ricordare che le dosi radianti minime per le quali sia stato dimostrato un effetto lesivo sulle cellule sono superiori di molte diecine di volte rispetto a quelle impiegate in radiodiagnostica.
L’effetto dei raggi x sulla materia è la ionizzazione degli atomi con formazione di radicali liberi.
Nelle immagini radiografiche la radiazione diffusa causa infatti un effetto di disturbo perché impressiona la pellicola in modo casuale e uniforme determinandone velatura e perdita di contrasto. Per ridurre questa conseguenza è necessario impiegare particolari accorgimenti tecnici (griglie fisse e mobili) che comunque non possono mai eliminarla completamente.
La presenza della radiazione diffusa complica anche molto seriamente la radioprotezione, poiché non è sufficiente proteggersi dal fascio di raggi x che esce dal tubo radiologico (“fascio primario”) ma è necessario schermarsi anche dalle radiazioni emesse da tutti i corpi colpiti dai raggi x, radiazioni che vengono emesse in ogni direzione dello spazio.
Gli effetti fisici e biologici determinati dai raggi x e dalle radiazioni ionizzanti giustifica le limitazioni e i meccanismi di controllo che regolano il loro impiego.
In campo sanitario, l’esercizio professionale della radiologia e della radioterapia è riservato ai medici in possesso dei relativi diplomi di specializzazione.
L’esecuzione delle radiografie e dei trattamenti radioterapici è affidata esclusivamente a personale specializzato (Tecnici Sanitari di Radiologia Medica) che giunge a questo titolo dopo un corso triennale di Diploma Universitario.
Le immagini radiografiche
La diagnostica radiologica necessita della produzione di immagini radiografiche, che rendano visibili le modificazioni indotte dal corpo umano sul fascio di raggi x: è su queste immagini che il radiologo formula la diagnosi.
Tuttavia bisogna essere consapevoli che le immagini pur rappresentano la realtà , non sono la realtà oggettiva e direttamente osservabile, pertanto è assolutamente necessario incrociare i risultati radiologicamente ottenuti con i dati clinici e/o con altri dati strumentali o di laboratorio in possesso, ciò per giungere ad una diagnosi certa e poter impostare l’idonea e opportuna terapia.
Le immagini dunque vengono ottenute utilizzando delle strutture, chiamate detettori, ovvero rivelatori, capaci di convertire il segnale dei fotoni x, non visibili, in una immagine visibile.
Le immagini radiografiche si suddividono inoltre in:
– immagini cinetiche o dinamiche, che rappresentano in tempo reale l’esame eseguito e il movimento degli organi
– immagini statiche, che forniscono un documento stabile del quadro interno del corpo umano: queste possono essere acquisite anche durante una indagine dinamica.
Le immagini di tipo cinetico o dinamico richiedono l’utilizzo di un sistema per radioscopia, basato sull’impiego un rivelatore che fornisce luce in corrispondenza dei punti in cui riceve raggi x. Oggi si utilizza una lamina fotoemittente con un tubo elettronico fotomoltiplicatore (“amplificatore di brillanza”) il cui segnale luminoso di uscita viene spesso raccolto da una videocamera e trasmesso via cavo. Si ottiene così, con la “radioscopia televisiva” la protezione totale dell’operatore e una notevole riduzione della dose radiante al paziente, che viene quasi sempre esaminato in una sala adiacente schermata utilizzando apparecchi telecomandati.
Le immagini statiche vengono ottenute impiegando, nella maggior parte dei casi, delle pellicole radiografiche: queste non sono altro che pellicole fotografiche in bianco e nero emulsionate su entrambe le facce. Poiché le pellicole sono assai più sensibili alla luce che alle radiazioni x, questa proprietà viene utilizzata esponendole ai raggi insieme a due lamine fotoemittenti (“schermi di rinforzo”) contenute in una scatola protettiva a tenuta di luce detta “cassetta radiografica”. Buona parte dell’esposizione e dell’annerimento della pellicola sono determinati in questo modo non dall’azione diretta dei raggi x ma dalla luce emessa dagli schermi di rinforzo quando sono colpiti dai raggi. E’ stato così possibile, impiegando in particolar modo schermi di rinforzo ad alta sensibilità ed efficienza (schermi alle “terre rare”) ridurre fortemente la dose di radiazioni somministrata al paziente.
La radiologia digitale
Negli ultimi venti anni sono stati introdotti e vengono impiegati in maniera crescente dei sistemi di rivelazione delle immagini basati sull’uso del computer e di sensori ad esso collegati (“radiologia digitale”).
Un sistema digitale molto noto e utilizzato da tempo è costituito dalla Tomografia Computerizzata (TC), indagine nella quale un tubo radiogeno ruota intorno al corpo del paziente emettendo un sottile fascio di raggi x. Dall’altra parte del corpo una corona di sensori radiosensibili collegati al computer misura l’intensità dei raggi che hanno attraversato il paziente punto per punto. Questo insieme di dati viene raccolto e rielaborato dal computer che, grazie a un complesso sistema di calcolo matematico, è in grado di ricostruire la distribuzione delle densità radiografiche all’interno della sezione del corpo attraversata dai raggi e quindi ne crea l’immagine virtuale su un monitor.
In altri sistemi digitali più recenti, l’intensità della radiazione che ha attraversato il paziente viene registrata su lamine sensibili (“fosfori a memoria”) che restituiscono successivamente questa informazione dopo lettura eseguita tramite un raggio laser. Un altro sistema utilizza lamine sensibili ad accoppiamento di carica elettrica (sensori a CCD) collegate al computer e in grado di fornire in tempo quasi reale delle immagini digitali di piccoli distretti, utili soprattutto in campo odontoiatrico (radiovideografia digitale).
In ogni caso, le immagini digitali sono dei veri e propri file informatici che vengono archiviati nel computer dell’apparecchio e possono venire aperti, copiati e trasferiti come ogni supporto informatico. I vantaggi più importanti delle immagini digitali sono:
- possibilità di modificare “a posteriori” le caratteristiche iconografiche delle immagini, principalmente la densità e il contrasto, senza dover ripetere l’esame
- risparmio di dose radiante rispetto alle pellicole tradizionali
- archiviazione rapida in minimo spazio (CD-ROM) e recupero in tempi brevissimi
- possibilità di teletrasmissione via cavo o Internet in maniera molto semplice, realizzando consultazioni e discussioni di casi da parte di esperti a distanza (“teleradiologia”).
Nelle applicazioni più avanzate i sistemi digitali consentono, partendo da sezioni TC contigue di un distretto del corpo, di ottenerne la ricostruzione secondo piani differenti o la creazione di modelli tridimensionali. Inoltre, partendo da pacchetti di sezioni TC di organi cavi, è possibile ottenerne la ricostruzione virtuale del lume e delle sue pareti interne, grazie a sofisticati programmi di modellazione e di rendering (“endoscopia virtuale”).
I mezzi di contrasto
I mezzi di contrasto (mdc) sono delle sostanze impiegate in diagnostica per immagini, principalmente in radiologia ( Rx e TC) e anche in RM, per rendere meglio visibili alcune strutture del corpo umano.
In radiologia, forniscono una immagine di sé le sole formazioni corporee che interagiscono con i raggi x in maniera selettiva e definita e quindi arrestano i raggi di più o di meno delle formazioni adiacenti.
Se un organo assorbe poco le radiazioni e comunque le assorbe allo stesso modo degli organi che lo circondano, esso non risulterà visibile in modo utile sull’immagine radiografica. Questo è per esempio il caso dello stomaco, del fegato, dei reni e di molti altri organi addominali, che forniscono solo una tenue immagine sulle radiografie standard, poco o per nulla valida ai fini diagnostici.
I mezzi di contrasto per radiologia si dividono in due grandi categorie a secondo della loro costituzione chimica, che ne determina i possibili impieghi:
- mezzi di contrasto baritati
- mezzi di contrasto iodati
I mezzi di contrasto baritati sono delle sospensioni di un sale, il solfato di bario (BaSO4), dotato di intensa radiopacità: si tratta di un materiale inerte, che non viene assorbito né metabolizzato dall’ organismo. Il solfato di bario si può usare solo per gli esami del canale alimentare, dal quale viene eliminato per svuotamento naturale: apparato digerente (“pasto baritato”) e clisma opaco. In queste indagini, il suo impiego risulta più utile e fornisce immagini migliori se viene abbinato a distensione gassosa del lume dei visceri così da ottenere la sola opacizzazione delle loro pareti con dimostrazione dei loro particolari più fini (esami a “doppio contrasto”).
I mezzi di contrasto baritati non devono venire impiegati quando vi sia sospetto di occlusioni o di perforazioni del lume viscerale, poiché il mezzo di contrasto baritato non viene riassorbito dall’organismo e dovrebbe quindi essere eliminato per via chirurgica.
I mezzi di contrasto iodati sono una categoria di numerose sostanze formate da molecole anche complesse contenenti uno o più atomi di iodio. La loro struttura molecolare ne determina le diverse proprietà biologiche e i progressi della farmacologia hanno reso possibile la formulazione di mezzi di contrasto iodati compatibili con il corpo umano, sterilizzabili e iniettabili. In questo modo si sono ottenute sostanze per l’opacizzazione dei vasi (vene e arterie), dei linfatici, del canale vertebrale, dei reni per eliminazione urinaria dopo iniezione endovenosa e delle vie biliari, per eliminazione attraverso la bile.
I mezzi di contrasto iodati sono delle vere e proprie sostanze farmaceutiche, in genere ben tollerate e quasi del tutto sprovviste di effetti collaterali: questi sono stati riportati in alcuni casi, soprattutto in passato, per l’intervento di meccanismi immuno-allergici tipo shock anafilattico. I prodotti iodati attualmente in uso, formulati in maniera iso-osmotica e non ionica, hanno però fortemente ridotto l’incidenza e la gravità di queste reazioni collaterali, che tuttavia giustificano alcune precauzioni e cautele nel loro impiego.
Utilità dei mezzi di contrasto
La somministrazione di queste particolari sostanze rende visibili gli organi che le contengono, o per riempimento diretto (visceri gastro-intestinali, vene e arterie, ecc.) o per eliminazione selettiva (reni e vie urinarie, vie biliari): il transito dei mezzi di contrasto attraverso i parenchimi o la loro permanenza in alcune strutture altamente vascolarizzate ne determina l’opacizzazione (“effetto parenchimografico”).
L’effetto contrastografico, di qualunque tipo, ha durata transitoria e l’esame radiografico va eseguito, a seconda dei casi, subito o poco dopo l’assunzione del mezzo di contrasto.
Gli organi così evidenziati assumono aspetti caratteristici, che in molti casi sono di grande aiuto a raggiungere una diagnosi precoce di malattie anche gravi.
Fra gli esami radiografici più importanti che impiegano mezzi di contrasto ricordiamo:
- esami baritati e clisma opaco
- urografia
- arteriografia e flebografia, ecc.
Si è visto inoltre che i tumori maligni si accompagnano in molti casi ad un aumento della loro vascolarizzazione, con formazione di una rete arteriosa anomala e accumulo del mezzo di contrasto nel loro interno. Questa neoangiogenesi neoplastica è la base dell’ impiego dei mezzi di contrasto per la diagnosi della natura delle alterazioni strutturali degli organi, utilizzandone l’iniezione arteriosa (arteriografia) ma soprattutto mediante somministrazione endovenosa durante tomografia computerizzata (TC con mezzo di contrasto).
Mezzi di contrasto per Risonanza Magnetica (RM) ed Ecografia
Negli esami di RM si utilizzano mezzi di contrasto che contengono atomi di un elemento raro, il gadolinio. Queste sostanze, somministrate per via endovenosa in occasione dell’ esame, si fissano agli organi e si distribuiscono nei vasi in maniera simile ai mezzi di contrasto iodati per radiologia. La differenza consiste nel fatto che gli atomi di gadolinio non emettono direttamente segnali magnetici ma modificano temporaneamente le proprietà paramagnetiche delle zone del corpo in cui vanno a fissarsi. Ne risulta una modificazione del segnale raccolto dall’apparecchio e quindi dell’immagine RM.
Esistono anche dei mezzi di contrasto per ecografia, di introduzione piuttosto recente. Questi vengono iniettati per via endovenosa e servono, allo stato attuale, unicamente ad accentuare e migliorare il segnale fornito dalle strutture cardiovascolari. Essi vengono quindi utilizzati quasi esclusivamente in cardiologia (ecocardiografia) e in diagnostica vascolare (eco-doppler e color-doppler).
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